In
ambito artistico, il termine "realista" è stato spesso usato a
qualificare opere in cui la rappresentazione di oggetti o figure è
così fedele al vero da poter anche risultare "sgradevole", specie se
considerata in relazione ai canoni della bellezza classica.
Impiegato per indicare opere di soggetto "basso", umile, l'aggettivo
denota anche una forte critica sociale, come fu nel caso del movimento che, ponendosi apertamente in
contrasto con la pittura idealista, esordì all'Esposizione di Parigi
del 1855. Tra i suoi promotori furono i pittori francesi
Gustave
Courbet,
Honoré Daumier e
Jean-François
Millet: le loro opere sono
considerate rappresentative del cosiddetto "realismo
sociale". Il realismo ebbe largo seguito in tutti i paesi europei
a partire dal 1860; in Italia vanno ricordati, tra gli artisti della
prima generazione realista, i pittori
Giovanni
Fattori, il maggior
esponente dei macchiaioli, e Antonio Fontanesi, e gli scultori Adriano
Cecioni e Vincenzo Gemito.
Tendenze
realiste nella storia dell'arte sono state rintracciate dagli studiosi
nelle opere di artisti diversissimi tra loro. La lunga lista, talvolta
discutibile, comprende Giotto, Caravaggio, Jan Vermeer,
Jean-Baptiste-Siméon Chardin, per arrivare al Novecento con
Grant
Wood, Otto Dix
e Georg Grosz, i murales dei messicani Diego Rivera e David Alfaro
Siqueiros, fino a
Renato Guttuso e agli artisti di Corrente.
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